In ricordo di Leda
Fabbrico 1929 – Roma 2011
“Ero piccola quando l’ho conosciuta. Avevo appena 18 anni ed ero in carcere con la mia prima figlia. Leda aveva un modo suo di farci capire che voleva aiutare noi quanto i bambini. Ci voleva bene, credo ci volesse veramente del bene”.
“Eravamo compagni di partito, militavamo entrambi nel PCI. Lei veniva già da una storia di lotte e battaglie, era bracciante, ad appena 14 anni. Quando poi ha creato A Roma Insieme, 27 anni fa, ho imparato a conoscere ancora un’altra Leda. Non assunse mai il tono di pedagoga, per lei contavano solo le azioni concrete, semplici. Ricordo le sue mani, capaci di racchiudere la gentilezza di cui era capace. E ricordo come quella gentilezza si trasformava in perseverante determinazione quando affermava ‘nessun bambino varchi la soglia del carcere’. Insieme abbiamo vissuto tanto, anche l’affido di quello che all’epoca era appena un bimbo, e ora ha 12 anni”.
“Un giorno mi arrivò la lettera della mamma di Esmeralda. La bimba stava per compiere 3 anni e da un momento all’altro l’avrebbero tolta alla madre. Era disperata, mi chiedeva di prenderla in affidamento. Io non sapevo cosa fare, non mi sentivo all’altezza. Leda, senza batter ciglio mi disse: ‘Non sei una mamma anche tu? Prova. L’importante è che tu ricordi sempre che Esmeralda una mamma ce l’ha e che tu, in questo momento, sarai la sua vice-mamma.’ Festeggiammo Esmeralda al nido di Rebibbia, io, la madre e Leda. Poi, la bimba uscì con noi, e il resto è storia. Lei vide qualcosa che io ancora non vedevo, e per questo le sarò per sempre grata”.
“ ‘Giovanni- mi disse un giorno- i bambini stanno in carcere e noi dobbiamo risarcirli. Avranno delle conseguenze se non iniziano a conoscere qualcosa al di là delle sbarre. Mi piace pensare- continuò Leda- che facendogli vedere il bello nelle loro testoline crescerà un seme di bontà, che poi gli permetterà di scegliere.’ Ho come un impegno morale con lei, ogni sabato di libertà, è un seme che cresce”.
“Ricordo quando un giorno mi disse che non si sarebbe ricandidata. Ormai aveva fatto i ‘giusti mandati’ e ora toccava a chi c’era dopo di lei. Per Leda nulla di quello che facevamo avrebbe avuto senso se lo si faceva per sé. La politica, l’attivismo, il rispetto per la sua famiglia, per i bambini, per i reclusi, tutta la sua vita era un continuo movimento d’amore verso l’altro”.
“Ero a Rebibbia, undici anni fa. Stavamo organizzando un evento per la festa della mamma e pensavamo di far venire una ventina di ragazzini a cantare dentro la sezione Nido. Chiesi l’autorizzazione alla direttrice dell’epoca che, senza esitare, si rifiutò. Tornai in sede, convinta che ormai era andata così. Leda stava scrivendo mentre io le dissi: ‘guarda non si può fare’. Lei, continuando a scrivere, mi gelò:’ e che fai? Ti arrendi così?’. Non sapevo bene come reagire, e allora provai a rifare tutto daccapo. Inoltrai di nuovo l’autorizzazione, ma questa volta direttamente al DAP, e fu così che la festa fu fatta e la direttrice…be’ non mi rivolse parola. Aveva coraggio Leda. In tutti questi anni non l’ho mai vista tentennare, o retrocedere. Era convinta, fortemente convinta, che se la società avesse dato a queste donne un’alternativa alla detenzione e alla povertà, loro ce l’avrebbero fatta. Ha sempre creduto nelle persone, fino alla fine”.